mercoledì 27 giugno 2012

Ambiente protesico


I

L MODELLO PROTESICO



La metodologia Gentle Care

Gentle Care model



S.F. VITALI



Centro Regionale Alzheimer, Istituto Geriatrico “C. Golgi”, Amministrazione delle II.PP.A.B, Abbiategrasso,

Milano



Gentle Care is a prosthetic model of dementia care developed by Moyra Jones,

based on the premise of accurately defining the deficit the person is experiencing,

and organizing the macro-environment, people, programs and physical

space, into a prosthesis to compensate for the deficts in functioning, to support

existing or residual function and to maximize the quality of life. Gentle Care derives

from the belief that the person with dementia is experiencing devasting

problems and deserves support with life challanges. Gentle Care is more than attitude,

it is a comprehensive program designed to prepare professional carers

and families for caring the person with dementia. A patnership between formal

and informal carers is encouraged. Carers are assisted to evaluate the functional

deficits and strenghts of the client, they are provided as well with problem

solving and sterss reducing startegies, they are taught to integrate daily activities

with helpuful programs that use the client’s existing performance abilities to develop

effective supportive care.

Gentle Care is a system of care that gives the oppurtunity to re-conceptualize the

way we see the dementing process, and to pursue reasonable gols in the care of

person suffering with dementia.

Key words
: Dementia • Models of care • Prosthetic model



La cura della persona con demenza si pone come cura a lungo termine che progressivamente

impone la ricerca di soluzioni sempre più articolate di fronte all’emergere

di bisogni via più complessi. Il carattere degenerativo e progressivo della

malattia e il suo perdurare negli anni comportano infatti inguaribilità e irreversibilità

di molti suoi aspetti; producono disabilità psichica e fisica; si accompagnano

ad instabilità clinica; provocano nel tempo un coinvolgimento in senso patologico

anche del nucleo familiare. Obiettivo principale della cura diviene allora

non più la guarigione bensì la promozione del benessere della persona e il contenimento

dello stress di chi del malato si occupa. Riferendoci ad un concetto di benessere

inteso come minor distanza possibile tra ciò che la persona vorrebbe essere

e ciò che la persona di fatto è, possiamo tentare una del benessere come miglior

livello funzionale possibile, per quella persona, in assenza di segni di stress;

definizione forse anche troppo sintetica, ma senza dubbio utile dal punto di vista

operativo. Un sistema di cura protesico diventa elemento fondamentale nel raggiungimento

di tale obiettivo di cura, poiché è pensato e finalizzato a supportare

piuttosto che cimentare la persona con demenza, a comprendere la peculiarità e

la complessità della disabilità determinata dalla malattia e al tempo stesso a cogliere

e a valorizzare le competenze residue, così come le preferenze e i desideri

del malato. La centralità del malato e la ricerca e salvaguardia della sua continuità

esistenziale ne costituiscono gli elementi fondanti.

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Il sistema Gentle Care
1-3, ideato e promosso da
Moyra Jones è un esempio di sistema protesico e
comporta come
primo step metodologico la conoscenza
della persona malata. Si tratta in primo luogo
di conoscenza clinico-funzionale del malato,
che si arricchisce in parallelo di conoscenza in senso
biografico. In questo modo elementi di ordine
fisiopatologico insieme ad elementi di ordine personale
e di contesto concorrono a ridurre la distanza
tra la conoscenza oggettiva dei problemi e
l’esperienza soggettiva di malattia. L’analisi viene
estesa anche ai problemi considerati dal punto di
vista dei carers, poiché ogni piano di intervento
tiene conto di quello che comunemente si intende
per triangolo sociale di cura, vale a dire del malato,
dei carers, siano essi formali come lo staff di una
unità di cura, siano essi informali, come i familiari.
Le soluzioni successivamente proposte saranno il
frutto di una mediazione tra bisogni a volte diversi
appartenenti ad attori diversi, ma sempre chiaramente
riconoscibili.
Il
secondo step è rappresentato dalla valutazione
dell’impatto che la malattia ha sul singolo malato,
valutazione quindi sia dei deficit indotti dalla malattia,
che di quelle strategie di compenso che il
malato autonomamente utilizza. Mai come nella
demenza è importante che la valutazione non sia
intesa come semplice applicazione di scale, ma come
fase conoscitiva che prelude alla pratica operativa
e consente di considerare criticamente le scelte
operate e i risultati ottenuti. La valutazione del
deficit utilizza gli strumenti propri della valutazione
multi-dimensionale. La valutazione del comportamento
spontaneo e delle strategie di compenso
poggia su elementi di carattere osservativo che
vengono poi tradotti in indicazioni operative nell’ambito
del piano assistenziale di cura.
Un primo livello di valutazione che i carers devono
condurre è una valutazione generale altrimenti nota
nel Gentle Care come “general awareness”, fanno
parte di questa valutazione l’osservazione di:
– cosa sa fare il malato/a;
– cosa fa;
– come il malato/a fa la tal cosa;
– quale parte del compito non riesce a eseguire;
– perché non riesce ad eseguire un certo compito;
– dove riesce meglio nell’eseguirlo;
– quando riesce meglio.
Un secondo livello di valutazione fa uso di due tecniche
che consentono di organizzare le informazioni
derivanti dall’osservazione diretta del malato:
– la tecnica dello “stress profile”: vengono map
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mappati

gli eventi della giornata, identificati le sorgenti

di stress e date le indicazioni al tutti carers

di quali strategie applicare e di quando applicarle

nell’arco delle 24 ore;

– la tecnica del “behaviour mapping” consiste

nell’osservazione del comportamento del paziente

nell’arco delle 24 ore e nella traduzione

dell’osservazione in un grafico che lo staff utilizza

per rappresentare la giornata tipo del malato

che ha in carico. Questo consente di meglio

inserire i programmi e le attività nella giornata

del malto: ad esempio lunghi periodi di

inattività possono essere interrotti da attività significative,

o meglio si evita l’errore di concentrare

tutte le proposte in un unico momento

della giornata, abitudine questa orientata più al

bisogno dello staff che del malato.

La valutazione ha la sua sintesi nella stadiazione e

quindi nella definizione della fase di malattia in cui

il malato si colloca. Questo consente non solo di

esprimere un giudizio prognostico, determinante

sia per il malato che per i familiari, ma anche di

operare, sulla base di un attento bilancio tra punti

di forza e punti di debolezza del singolo malato,

delle scelte di fondo per la costruzione del progetto

di cura che comportino obiettivi realistici ed

evitino obiettivi frustranti. La valutazione deve poi

essere intesa in senso longitudinale in modo da seguire

i passaggi di fase della malattia che inevitabilmente

si susseguono fino alle fasi più avanzate della

malattia laddove è indispensabile avere un atteggiamento

sempre più interpretativo nei confronti

anche dei più semplici bisogni che difficilmente il

malato potrà esplicitare spontaneamente.

Il
terzo step rappresenta la costruzione della protesi

vera e propria che nella metodologia Gentle

Care si articola in tre elementi non separabili e in

relazione dinamica l’uno con l’altro: l’ambiente fisico,

le persone che curano, le attività e i programmi

che contribuiscono a dare un senso alla giornata

del malato.

L’ambiente fisico

Il ruolo cruciale dello spazio nel piano di cura è in

stretto rapporto con la modificazione della capacità

di controllo dell’ambiente stesso che si verifica

nel malato con il peggiorare della malattia. Tali modificazioni

si manifestano più frequentemente in

fase moderata-severa, ma nella malattia di Alzheimer

possono essere presenti anche in fase lievemoderata

in rapporto ad un precoce interessamento

del crocicchio temporo-parieto-occipitale
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Si tenga anche conto che nelle fasi avanzate il movimento

rappresenta l’unica modalità di rapporto

con l’ambiente che il malato è ancora in grado di

utilizzare. Facendo infatti riferimento al noto concetto

di retrogenesi
7 e considerando la corrispondenza

inversa esistente tra fasi della malattia e sviluppo

psicomotorio secondo Piaget, possiamo osservare

che le fasi GDS 5/6
8 cioè quelle del declino

severo, corrispondo agli stadi 3/4 del periodo senso-

motorio e del periodo pre-operazionale dello

sviluppo piagetiano, periodi in cui l’esplorazione

dell’ambiente attraverso la motricità, rappresenta

la base sulla quale si costruiranno le successive capacità

logico-interpretative. La difesa della motricità

e la strutturazione di un ambiente che la promuova

diventano quindi obiettivi possibili anche

in fase avanzata e acquistano una valenza etica rilevante.

Molte sono le evidenze di come la persona con demenza

possa essere particolarmente sensibile a

modificazioni ambientali, sia in senso positivo, sia

in senso negativo; diviene corollario di ciò, che

ogni piccola modificazione ambientale in senso

protesico può avere effetti largamente positivi sulle

prestazioni del malato
9 10.

Nell’ambito della metodologia Gentle Care il paradigma

dell’ambiente protesico è la casa, poiché essa

è la sintesi di molti elementi connessi con la soggettività

di ogni persona: rappresenta lo spazio di

massima familiarità, l’ambito in cui il riconoscimento

dello spazio e del suo significato d’uso è immediato,

perché ormai introiettato, inoltre costituisce

il luogo dove vengono custodite le esperienze

e le emozioni più private e più significative per

la vita di ciascuno.

Nella costruzione dell’ambiente protesico è possibile

fare riferimento ai criteri di seguito riportati.

Sicurezza
. Le alterazioni della cognitività, la perdita

di critica e di giudizio proprie della malattia, fanno

sì che la persona con demenza tenda a mettersi

in situazioni di rischio. In relazione a ciò, quello

che più frequentemente si verifica nei carers è la

nascita di un bisogno di stretto controllo nei confronti

del malato. Tale atteggiamento pone di per sé

problemi di natura etica, connessi con la salvaguardia

del principio di autonomia/autodeterminazione

del malato, ma al tempo stesso diviene particolarmente

faticoso per i carers nei quali induce uno stato

di continuo allarme. Il tema della sicurezza riguarda

sia le persone in situazione di residenzialità

che le persone al proprio domicilio. Obiettivo del

design sia in ambito residenziale che al domicilio è

dunque quello di creare spazi interni ed esterni

protetti così che il malato possa godere del massi
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massimo

di libertà nel pieno della sicurezza. Non sono da

scartare a tale proposito le soluzioni che utilizzano

la tecnologia, sia essa low, lay o high technology. La

scelta di soluzioni tecnologiche deve considerare i

diversi problemi di natura etica che insorgono

quando si debba da un lato rispettare il diritto di autodeterminazione

delle persone e dall’altro rivolgersi

a malati nei quali la malattia stessa mina in varia

misura tale capacità. Il processo decisionale deve

considerare l’eticità delle alternative possibili alle

singole misure adottate o adottabili e contestualizzare

i possibili dilemmi etici
11 12.

Facilità d’accesso e mobilità
. La libertà di movimento

e la fruibilità dell’ambiente consentono al

malato di conservare la sensazione di controllo sullo

spazio circostante e di accrescere il suo senso di

appartenenza e di padronanza nei confronti delle

diverse aree. Cruciale è per il malato anche in fase

moderato-severa la sensazione di padronanza nei

confronti dello spazio più intimo, vale a dire la camera,

con il proprio letto e i propri oggetti personali.

Questa sensazione può essere accresciuta o

sminuita dall’atteggiamento dello staff: entrare in

camera del paziente senza chiedere il permesso

mina il senso di controllo, viceversa chiedere la

sua autorizzazione lo rinforza. La visibilità delle

aree fruibili diviene quindi critica, così come il mascheramento

delle aree interdette. Accanto alla visibilità

diretta deve essere considerata la facilitazione

all’interpretazione, il cueing, utilizzando una

segnaletica non convenzionabile, ma interpretabile

dal malato. “Comforting objects” possono essere

utilizzati per identificare spazi personali, “life panels”

costruiti con l’aiuto della famiglia oltre a consentire

al malato di identificare il proprio spazio,

gli restituiscono il senso di appartenenza e la stima

di sé. Quando possibile è meglio utilizzabile un

cueing multisensoriale, piuttosto che affidarsi sl solo

cuieng visivo.

Funzione ed attività
. Poiché il malato non è spesso

in grado di attribuire allo spazio il suo corretto

significato d’uso, occorre che ogni ambiente suggerisca

al malato la funzione a cui è destinato, sia

attraverso la configurazione, sia attraverso l’arredo,

sia attraverso elementi infrastrutturali che suscitino

interesse e possibilità di interazione. Occorre

prevedere punti di interesse (es. vista sull’esterno),

disporre l’arredo in modo da facilitare l’interazione

e la conversazione, compensare i deficit

sensoriali disponendo oggetti interessanti alla reale

portata del campo visivo, quindi mediamente all’altezza

delle spalle o più bassi, creare opportunità

di uso di oggetti normalmente presenti nel quotidiano

(borse, cappelli, giornali etc.). La pronta di
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sponibilità degli oggetti di uso comune, consente

al malato di esercitare la propria indipendenza funzionale

con ripercussioni positive almeno a due livelli:

accresce la autonomia, la capacità di scelta

della persona con demenza, solleva lo staff dal dover

sollecitare, stimolare il malato, realizzando il

concetto di “non-human caregiver”.

Privacy, comfort, socializzazione
. Lo spazio deve

essere concepito prima di tutto come luogo di vita

per il malato, solo secondariamente come luogo di

lavoro per lo staff. Gli spazi devono quindi riflettere

le molteplici esigenze del malato sia che si tratti

di esigenze di intimità, che di socializzazione. In

particolare la socializzazione dovrà essere sostanziale

e non di facciata: garanzia di socializzazione

non sarà quindi la presenza di ambienti pseudo urbani,

quanto l’esistenza di una reale possibilità di

partecipazione del malato alla vita dell’ambiente di

cura e la partecipazione della famiglia e della comunità

alla vita del malato sia in ambito domiciliare

che residenziale. Le dimensioni degli spazi, la

personalizzazione, la presenza di oggetti che diano

al malto la sensazione di continuità con il proprio

passato diventano essenziali laddove l’obiettivo sia

il comfort della persona con demenza.

Flessibilità e cambiamento
. L’ambiente deve sapersi

modificare in rapporto al mutare dei bisogni

del malato e dei carers. Gli elementi guida di questo

cambiamento sono sempre: il potenziamento

delle abilità residue, il comfort e il compenso dei

deficit per il malato, la miglior gestione degli aspetti

di cura da parte dei carers. Occorre abbandonare

la nozione di asetticità e ordine e volgersi ai concetti

di uso e di interazione utilizzando anche simulazioni

o tecniche di role palying per comprendere

quale possano essere le necessità dei malati

nelle diverse fasi di malattia.

Le persone

Le persone che curano oltre ad essere adeguatamente

formate e motivate, devono operare secondo

un principio di condivisione sia degli obiettivi

che dei piani di cura. La reale condivisione consente

di realizzare concretamente il progetto di cura

delineato per il singolo malato; permette di rivedere

ed adattare lo stesso piano al mutare dei bisogni

del malato così come al mutare delle situazioni

di contesto. L’analisi dei bisogni condotta all’interno

del già citato “triangolo sociale di cura”, persona

con demenza – carers informali – carers formali,

consente inoltre di enucleare e di affrontare i numerosi

dilemmi etici che si evidenziano nel corso
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della malattia nel rispetto dei principi di autonomia-

autodeterminazione, beneficienza e di giustizia

sociale. La capacità di ogni carer di utilizzare un

approccio interpretativo alla malattia con il suo insieme

di sintomi cognitivi e non cognitivi, è la garanzia

di un’adeguata interpretazione dei disturbi

del comportamento e di un minor ricorso ad uso di

psicofarmaci. Cruciale è l’alleanza terapeutica tra

famiglia e operatori anche quando il malato venga

ricoverato in ambito istituzionale, in questo caso

infatti la partecipazione della famiglia si traduce in

una maggior comprensione da parte dei famigliari

dell’operato, in una miglior conoscenza degli attuali

limiti delle cure, in una delega consapevole,

responsabile e tuttavia non definitiva attraverso la

definizione di ambiti di responsabilità chiari sia per

gli operatori che per i famigliari e con la definizione

delle necessarie zone di sovrapposizione di questi.

Sia in ambito residenziale che in ambito domiciliare

è sempre importante comprendere le dinamiche

del caregiving, identificare gli stili del coping

con il caregiving e se necessario ridisegnare lo stile

del caregiving facendo leva sull’approccio interpretativo

vale a dire sulla comprensione dalla malattia

dal punto di vista fisiopatologico sull’interpretazione

del comportamento del malato alla luce

del deficit neuropsicologico.

I programmi

Per quanto riguarda i programmi e le attività nel

modello Gentle Care il riferimento è alla “normalità”,

alla “quotidianità”. Non si tratta dunque di attività

di tipo ricreativo, concepite in modo standard

e proposte in modo indifferenziato a pazienti

diversi, bensì di tutte quelle attività che per ciascuno,

noi compresi, costituiscono “la giornata”. In altre

parole nel Gentle Care l’intento principale è

quello di ricostruire per ogni malato una routine

giornaliera personalizzata che faccia riferimento

agli elementi biografici e di contesto noti per quella

persona, (quindi valori culturali e morali di riferimento,

attitudini, propensioni, competenza specifica)

che enfatizzi i livelli funzionali esistenti, ottimizzi

i punti di forza del malato e che sia sicura.

Nel Gentle Care i programmi sono pertanto costruiti

in modo tale da:

– essere il più aderenti possibile allo stile di vita

del malato;

– prevedere attività corrispondenti alle reali competenze

adeguatamente rivalutate nelle diverse

fasi della malattia;
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– rispondere ai bisogni psicologici che ogni individuo

aspira a veder soddisfatto.

Tra gli elementi teorici di riferimento vi è la soddisfazione

dei bisogni psicologici in ordine gerarchico

così come delineato dalla piramide di Maslow
13:

bisogno di sicurezza e di integrità biologica

(comfort, cura del corpo, intimità, ambiente sicuro);

bisogno di appartenenza (appartenenza ad un

nucleo familiare – ad un gruppo – confidenza – familiarità);

stima di sé (controllo – senso di utilità –

di successo) e autorealizzazione (espressione di sé

– stimoli nuovi – opportunità di apprendimento). Il

bisogno più semplice deve essere soddisfatto prima

che si possa passare alla soddisfazione di quello più

complesso. Nella scelta delle attività e dei programmi

occorre anche tenere conto del già citato concetto

di retrogenesi al fine di poter stabilire una gerarchia

di bisogni aderente alla fase della malattia e

organizzare una risposta gerarchicamente corrispondente

attraverso delle proposte che sfruttino

sia le abilità residue che gli elementi di sostegno.

Esempi di corrispondenza tra bisogni ed attività sono:

– bisogno di sicurezza e integrità biologica: controllo

del dolore, posizioni confortevoli, massaggio,

riposi adeguati, conservazione dell’energia,

routine familiari, coinvolgimento nelle attività

strumentali e di base del quotidiano;

– senso di appartenenza: oggetti personali significativi

da guardare e conservare, animali, piante,

possibilità di ascoltare, di toccare, ambienti da allestire
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– stima di sé: reminiscenze e ricordi, controllo

del denaro, possibilità di aiutare gli altri;

– realizzazione di sé: insegnare, imparare, ricordare,

attività creative, lavoro.

La costruzione di una routine giornaliera pensata

per il singolo malato comporta alcune ulteriori

considerazioni:

– i programmi devono essere funzionali al paziente

e non all’organizzazione, quindi occorre

spesso rivedere i ritmi del reparto, rompere

schemi rigidi di comportamento dello staff,

coinvolgere i servizi esterni al reparto il cui funzionamento

deve armonizzarsi con le esigenze

dei malati;

– lo staff nel suo complesso con la famiglia e i volontari

ha responsabilità precise nello sviluppo

dei programmi;

– l’ambiente deve essere adattato e arricchito dell’infrastruttura

necessaria per lo svolgimento

delle attività considerate e pertanto deve essere

reperito un badget ad hoc.

Da ultimo nel Gentle Care le attività e i programmi

non sono qualcosa di carino, di divertente o di

extra rispetto al quotidiano, sono il quotidiano.

Quando si lavora alla costruzione della routine

per il malato occorre sempre chiedersi: chi è

questa persona, cosa stiamo facendo per lei,

quello che stiamo facendo ha senso, contribuisce

al suo benessere, che impatto ha avuto sul malato

quello che abbiamo fatto, abbiamo disegnato

per lui la miglior vita possibile nelle date circostanze?
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Gentle Care è un sistema di cura rivolto alla persone

con demenza, elaborato dalla terapista occupazionale

canadese Moyra Jones e dai primi

anni ’90 rappresenta la scelta metodologica operata

all’interno del Centro regionale Alzheimer

dell’Istituto “Golgi”. Tale scelta è nata dalla crisi

sia del modello bio-medico tradizionale che,

esaurito il compito diagnostico, si è rivelato insufficiente

alla cura del malato demente con i

suoi molteplici bisogni, sia del modello fisiatrico,

allenante, centrato sul recupero e la rieducazione

funzionale, sul riapprendimento, sul miglioramento

della prestazione. Quest’ultimo modello è

assai caro alla cultura gerontologica, ma è tuttora

fonte di incertezze e di questioni aperte per quanto

riguarda la sua applicabilità e la sua efficacia

nella cura della persona con demenza.

Gentle Care si caratterizza per un approccio protesico

alla cura della persona con demenza, che

supporta più che cimentare il malato e che ha come

obiettivo principale il benessere, inteso qui

come miglior livello funzionale possibile per

quel singolo malato, in assenza di segni di stress.

Gli elementi costitutivi della protesi, che vengono

qui di seguito descritti analiticamente sono:

spazio fisico, persone e programmi. Nell’esperienza

di chi scrive, tale modello consente di confrontarsi

con l’irreversibilità della perdita globale

causata dalla demenza senza rinunciare ad avere

obiettivi realistici ma, al tempo stesso, senza

perseguire l’illusione di prestazioni impossibili.

Parole chiave: Demenza • Modelli di cura • Approccio
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La metodologia Gentle Care
Gentle Care ( cura gentile) è un sistema di cura rivolto alle persone con demenza, elaborato dalla terapista occupazionale canadese Moyra Jones . Questa metodologia è assai cara alla cultura gerontologica, ma è tuttora fonte di incertezze e di questioni aperte per quanto riguarda la sua applicabilità e la sua efficacia nella cura della persona con demenza. Gentle Care si caratterizza per un approccio protesico alla cura della persona con demenza, che supporta più che cimentare il malato e che ha come obiettivo principale il benessere, inteso qui come miglior livello funzionale possibile per quel singolo malato, in assenza di segni di stress.
Vengono quindi privilegiati trattamenti che riducono lo stress e attivati programmi mirati al sostegno delle funzioni ancora esistenti.
In questa metodologia il malato non subisce limitazioni di alcun tipo (non vengono usati infatti mezzi sedativi , né contenitivi).
L’intervento si orienta in tre direttrici principali:
Riduzione dello stress, ovvero eliminare o limitare il più possibile le condizioni che possano creare stress al paziente. Al fine di limitare qualsiasi stress, anche l’organizzazione dell’assistenza si basa su modalità molto flessibili: i pazienti non vengono costretti a svegliarsi in orari stabiliti, ma vengono accompagnati alle attività giornaliere molto lentamente. La colazione viene servita durante tutta la mattinata e l’igiene intima praticata in momenti diversi, secondo le abitudini e le esigenze di ogni singolo paziente. Neanche l’ora di coricarsi è prefissata ma si privilegia il rispetto dei ritmi della persona nel rapporto veglia-sonno.Aumento del benessere, ovvero individuare gli aspetti e le situazioni che favoriscono il benessere del paziente.Il bisogno di sicurezza e integrità biologica: controllo del dolore, posizioni confortevoli, massaggio, riposi adeguati, conservazione dell’energia, routine familiari, coinvolgimento nelle attività quotidiane.Il senso di appartenenza: oggetti personali significativi da guardare e conservare, animali, piante, possibilità di ascoltare, di toccare, ecc…Stima di sé:reminescenze e ricordi, controllo del denaro, possibilità di aiutare gli altri. Realizzazione di sé: insegnare, imparare, ricordare attività creative, lavoro.Ricerca del punto di forza del paziente e individuazione delle protesi per lui più funzionali. La protesi può essere rappresentata da qualsiasi elemento (oggetto, spazio, situazione, immagine, suono, musica, attività, , ecc…) che ha un effetto positivo per il benessere della persona assistita.

Gli operatori e le persone che curano oltre ad essere adeguatamente formate e motivate, devono operare secondo un principio di condivisione sia degli obiettivi che dei piani di cura. La reale condivisione consente di realizzare concretamente il progetto di cura delineato per ogni singolo malato; permette di adattare e rivedere lo stesso piano, e qualora ve ne sia bisogno può essere cambiato in base ai bisogni del malato.
Per quanto riguarda i programmi e le attività nel modello Gentle Care si riferiscono tutti alla “normalità e alla quotidianità” costituiti in modo tale da:
essere il più simili possibile allo stile di vita del malato.
Prevedere attività corrispondenti alle reali competenze, adeguatamente rivalutate nelle diverse fasi della malattia.
Rispondere ai bisogni psicologici che ogni individuo aspira a veder soddisfatto.
La Gentle care può essere applicata in contesti diversi (casa, servizi diurni, istituti) e con soggetti differenti.



Corrispondenza: dott.ssa Silvia Francesca Vitali, Centro Regionale Alzheimer, Istituto Geriatrico

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